L’oliveto di Bajardo, dove gli olivi crescono in quota

Nov 12, 2021 | Bajardo, Riflessioni

I terreni di montagna sono difficili da coltivare: il solo è meno profondo e soggetto a dilavamento quando piove, il clima è meno mite e il terreno scosceso è poco agevole.

Il terrazzamento è un suggestivo ma faticoso rimedio con cui i contadini del passato sono riusciti a sfruttare la difficile campagna montana. Un lavoro encomiabile che ha reso caratteristico il paesaggio di tante campagne, soprattutto in Liguria, e che recentemente è stato dichiarato patrimonio dell’umanità UNESCO.

Tuttavia la campagna terrazzata male si presta all’agricoltura moderna, perché impedisce l’accesso ai mezzi meccanizzati, soffre di bassa resa e la manutenzione stessa dei terrazzamenti è economicamente sostenibile solo con l’aiuto pubblico.

Gli uliveti che possiedo a Bajardo sono proprio così: fortemente scoscesi e terrazzati. Qui, tra mille sali e scendi, si riescono a coltivare quegli ulivi che non hanno bisogno di anticrittogamici perché naturalmente protetti dall’altitudine.

Qui si fa tutto a mano, dalla potatura alla concimatura, dalla raccolta al trasporto: le foto rendono bene l’idea di quanto lavoro manuale sia necessario.

 

Oliveto di Bajardo Oliveto di Bajardo Oliveto di Bajardo Oliveto di Bajardo

 

Quando abbiamo preso in gestione queste terre, l’oliveto era invaso dai rovi, ma le piante, sebbene necessitassero di una profonda potatura, perché cresciute per anni au naturel, erano ancora vigorose. Gli ulivi sono piante rustiche e longeve, e i taggiaschi, in particolare, sono ben adattati alla vita di montagna.

Aver creduto in questo fazzoletto di Liguria ci consentirà di far uscire dal frantoio un olio di qualità impareggiabile, il nostro fiore all’occhiello.

E questo olio così nuovo e così antico, sarà il motore per rivitalizzare l’economia di una montagna che, in cento anni, si è andata progressivamente spopolando per mancanza di opportunità e investimenti.

Tutti i lavori nobilitano l’uomo. Il nostro anche il territorio che ci ospita.

Giovanni Abbo

 

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