Lasciando la rinomata riviera ligure per avventurarsi nell’entroterra, si finisce inevitabilmente per salire rapidamente di quota, passando in pochi chilometri dal mare ad oltre 1000 metri di altitudine. Salendo si incontrano un’infinità di piccoli centri abitati arroccati in schema difensivo sui cucuzzoli meno aspre delle Alpi Liguri.
Come accade anche sugli Appennini, questi insediamenti spesso tradiscono la malinconia che avvolge i luoghi che si stanno spopolando: un problema che investe la montagna quando è lontana dalle piste da sci.
Uno di questi è Bajardo, un piccolo paese di poco più di 300 abitanti, arroccato a quota 910 m. s.l.m. alle spalle di Taggia e della Riviera dei Fiori, nome poetico con cui si distingue quel tratto di costa ligure che ricade nella Provincia di Imperia.
Già abitato durante la Preistoria, Bajardo è stato un importante luogo di culto celtico, trasformato poi in fortezza dai Romani. Nel Medioevo è stato al centro delle lotte tra le Repubbliche marinare di Pisa e Genova, parteggiando prima per la città toscana e poi riconoscendo la supremazia di Genova.
L’alleanza di Castelbaiardo era bramata per via delle ricche foreste da cui si traeva il legno necessario alla costruzione delle galere, le navi che hanno dominato il Mediterraneo fino al XVII sec.
Tra il medioevo e l’età industriale si diffonde nell’entroterra ligure, grazie ai terrazzamenti, la coltivazione dell’ulivo: a Bajardo arrivano le piante che si erano acclimatate nel territorio di Taggia: le taggiasche. Insieme agli uliveti si diffondono anche castagneti e vigne.
In montagna l’agricoltura è più difficile: le rese sono minori, il lavoro maggiore e i raccolti hanno meno smercio, essendo tipicamente lontani dalle arterie del commercio.
L’avvento della meccanizzazione agricola e della rivoluzione verde, più facilmente applicabili sulla costa e in collina, hanno penalizzato l’agricoltura di montagna rendendola non più sostenibile in termini economici.
Inevitabilmente le scoscese campagne montane e i centri abitati a quelle legati economicamente, si sono andati progressivamente spopolando, con le nuove generazioni costrette a scendere a verso il mare alla ricerca di lavoro.
La crisi demografica è sempre un evento traumatico per una comunità e una minaccia per la sopravvivenza delle tradizioni e della cultura locale: ogni luogo che si spopola è un pezzo d’Italia che perdiamo tutti.
La buona notizia è che è possibile arrestare e invertire il trend: la gente sta tornando nei paesini per i motivi più disparati, dallo smartworking (nelle località raggiunge dalla banda larga) all’avvio di piccole imprese ricettive, in particolare con le formule del b&b o dell’albergo diffuso.
Tuttavia il motore del cambiamento è la riscoperta dell’agrifood di montagna, inteso non solo come produzioni tipicamente di alta quota, quali formaggi, frutti del bosco e cacciagione, bensì come coltivazioni che, portate oltre i 600 m. s.l.m., crescono di valore. Oggi a Bajardo, per esempio, prosperano i campi di lavanda.
La coltivazione principale, tuttavia, è quella dell’olivo taggiasco: oliveti abbandonati vengono ripristinati, mantenuti e rinnovati per produrre l’extravergine taggiasco di montagna, un olio che rappresenta il vertice di quell’eccellenza rappresentata dal Taggiasco DOP.
Noi di Olio Abbo, insieme a qualche nostro collega olivicoltore, stiamo riportando gli olivi in montagna, più precisamente stiamo ripristinando gli oliveti 100% di varietà taggiasca del territorio di Bajardo, e nel 2021 siamo pronti a uscire con la prima produzione di olio extravergine da olive taggiasche di montagna, un olio certificato e protetto dalle attuali normative in materia di produzione olearia e di agricoltura montana.
E’ un prodotto di grande qualità, che costa un po’ di più perché dietro ci sono rese moderate ma tanto lavoro a mano e stipendi equi, di almeno 10€ l’ora per i collaboratori che ci aiutano nelle operazioni agronomiche, per la maggior parte giovani bajardesi.
Gli stipendi dignitosi non si creano con la bacchetta magica e nemmeno per imposizione di legge: servono investimenti in produttività, tecnologia e qualità. Nel caso del nostro olio possiamo lavorare solo sulla qualità: in questo la montagna è nostra complice nel riuscire a portare sulla tavola degli intenditori le nostre gocce di meraviglia.
La montagna protegge naturalmente le piante dai parassiti, senza bisogno della chimica; nello stesso tempo stressa climaticamente le piante, costringendole a infondere le olive di quelle sostanze protettive che ne arricchiscono il sapore e ne migliorano il profilo nutrizionale.
Il risultato è un prodotto non da tutti i giorni, magari da utilizzare per esaltare i piatti speciali, che fa bene a chi lo assaggia, ma anche all’ambiente e a chi ci vive.
Una curiosità: gli abitanti di Bajardo si chiamano bajardi, ma anche bajocchi.
Giovanni Abbo.