Mano mano che bruchiamo le olive, le raccogliamo all’interno delle cassette. Scommetto che hai presente come sono fatte le casse per le olive, recipienti dalla forma peculiare e dai tipici colori verde scuro (o verde oliva), rosso e giallo.
Sembrano strumenti banali, anche rispetto ad arnesi non particolarmente tecnologici come reti e rastrelli, e in parte lo sono, ma meno di quanto pensi.
Le cassette per le olive
In ortofrutta si utilizzano cassette di vario genere, diverse per forma, colori e materiali: quelle per le olive hanno un aspetto particolare che le distingue dalle altre.
Le forme e i materiali utilizzati rispondono a precisi bisogni dei produttori e dei consumatori:
1. Igiene e salute: le cassette sono contenitori che vanno a diretto contatto con le olive, che sono alimenti destinati al consumo umano, anche se previa trasformazione. Pertanto è necessario che siano costruite in materiali certificati per l’uso alimentare. Io utilizzo cassette in plastica HDPE (polietilene ad alta densità), un polimero termoplastico classificato per uso alimentare dall’Unione Europea (Reg. UE 10/2011): su tutte le mie cassette trovi stampigliato (in genere sui maniglioni o sul fondo), il simbolo del bicchiere e forchetta, che contraddistingue, ai sensi della normativa vigente, le plastiche per uso alimentare. La forma reticolata favorisce la riduzione dell’umidità, l’areazione delle olive e contrasta la formazione di muffe.
2. Robustezza: a differenza del PET (altra plastica per uso alimentare), il polietilene ad alta densità è un polimero altamente robusto e resistente: i recipienti, a pieno carico, devono sopportare un carico di anche mezzo quintale. E devono sopportare la vita dura della campagna: gli agenti atmosferici, gli sbalzi di temperatura e gli strattonamenti poco gentili di noi produttori e dei nostri operai.
3. Praticità: le cassette per le olive si manovrano a mano. Quando sono mezze piene le si trascinano, da soli, da una pianta all’altra; quando sono piene si afferrano in due e le si caricano sul rimorchio più vicino, per poi, nuovamente a mano, afferrarle e rovesciale sui nastri trasportatori del frantoio. La forma rovesciata (a mo’ di risvoltino) dell’orlo superiore diventa un pratico maniglione che corre lungo tutto il perimetro, e consente una presa a 360°.
4. Risparmio dei volumi: la particolare forma delle cassette per le olive consente di impilare le cassette una sull’altra, sia quando sono vuote che quando sono piene. Quando sono vuote, impilandole una nell’altra, si risparmia fino al 50% del volume che ciascuna occupa: ciò è importante perché utilizzandosi poche settimane all’anno, lo spazio che occupano in magazzino deve essere il minore possibile. Quando sono piene la possibilità di impilarle è ancora più preziosa, perché consente di spostare maggiori quantità di olive dal campo al frantoio.
5. Versatilità: le cassette hanno una forma che le rende molto versatili. Se accatastate nella stessa direzione si impilano risparmiando volumetrie, sovrapposte in senso contrario diventano delle gabbie (o dei contenitori chiusi).
Il trasporto delle olive in montagna
Come forse sai ho scelto di produrre le olive in montagna per i benefici che ne avrebbe tratto l’olio. Rispetto a quando si coltiva in collina o in pianura i gesti sono sempre gli stessi, eppure sempre diversi.
Ogni passaggio diventa meno meccanizzato e più manuale, perché gli spazi e l’orografia filtrano l’utilizzo di trattori e macchine agricole, lasciando passare solo le persone e gli attrezzi manuali che portano con sé.
Le cassette piene che ci incolliamo in montagna sono le stesse che faticosamente carreggiano in pianura, e il peso spinge in basso con pari forza. Tuttavia sulle Alpi Liguri dobbiamo trascinarle per distanze maggiori, perché il rimorchio resta parcheggiato all’inizio del campo. Il profilo scosceso del terreno rende più faticoso spostarsi a pieno carico, ma anche il poggiare le cassette non ancora colme ai piedi del prossimo ulivo.
Non si tratta certo di un’impresa erculea, ma come per ogni compito, la montagna richiede uno sforzo in più.
Giovanni Abbo